Puoi sopravvivere alla catastrofe? Se un commando di narcotrafficanti massacra sedici membri della tua famiglia, se tu sola sopravvivi, insieme a tuo figlio di otto anni, se non puoi neppure piangere i morti perché devi fuggire, nasconderti, superare il confine e mettere in salvo l’unico affetto che ti resta, tu che cosa fai?
Il sale della terra di Jeanine Cummins, Feltrinelli 2020, è un viaggio nell’inferno di Acapulco, dove a dettare legge sono i cartelli della droga.
È anche un libro che costringe a farsi delle domande, a mettere in discussione le certezze dell’esistenza e a spostare continuamente i confini delle proprie sicurezze e identità.
Lydia, divisa tra la famiglia e la sua libreria, credeva di avere tutto: la casa in cui sbucciare l’aglio e preparare la cena, ascoltando distratta il tg; i libri da sistemare negli scaffali; le chiacchiere con i clienti, con uno in particolare; il marito giornalista; un figlio che ama la geografia fino a mandare a memoria ogni dettaglio, di ogni Stato del Messico.
Quando tutto crollerà, riuscirà a restare incollata a se stessa, questa donna, nonostante la tentazione continua di farsi frammento, di cedere al peggiore dei dolori, quello della perdita e dello smarrimento di ogni perimetro che ci contiene.
Spingerà la sofferenza indietro per andare avanti, nonostante il senso di colpa che la schiaccia, tanto che per trovare il sonno, la sera, sarà costretta a ripetersi come un mantra: “Non pensare, non pensare, non pensare”.
A cosa non deve pensare? Qual è il buco nero che la risucchia?
Lo scoprirete presto, a pagina 50, quando un sentimento si rovescia nel suo contrario e quell’inganno scatenerà, forse, la tragedia.
Lydia e il figlio Luca si troveranno all’improvviso sulla rotta dei migranti e faranno cose che mai avrebbero pensato di poter fare: saltare sui tetti dei treni merce in corsa, per lasciare il Messico. Giocarsi ai dadi la vita, per scampare ad una morte certa, per provarci almeno.
Incontreranno altri destini in viaggio, tra gesti di solidarietà e sguardi di diffidenza: cercheranno di superare la frontiera, restando umani.
All’improvviso, questo libro sposta il punto di vista e spinge il lettore a riflettere sull’angoscia che prova anche il carnefice, quando la più devastante delle sconfitte lo investe personalmente.
Il libro denuncia in forma romanzata la sanguinosa lotta dei cartelli in Messico e tutto quello che ne consegue:
Attualmente in Messico si parla di circa quarantamila persone scomparse, e sempre più spesso gli investigatori trovano fosse comuni con decine, a volte centinaia di corpi.
Si legge così nella Nota dell’autrice, in fondo al libro, una nota che si chiude con la frase scritta sul muro al confine adi Tijuana. Cercatela: non è solo una frase, è soprattutto poesia e speranza.
Questo libro, poi, celebra la potenza curativa delle storie e più in generale delle parole:
Nella loro nuova casa, Lydia rilegge L’amore ai tempi del colera, prima in spagnolo, poi di nuovo in inglese. Nessuno può portarglielo via. Quel libro è soltanto suo.
È un omaggio che torna in momenti diversi, perché le storie sono ancore e traghetti, sanno farti sostare e farti muovere, fuori e dentro i propri limiti, che alle volte sono i più difficili da valicare.
I dorsi verticali dei libri sono pilastri […] il libro è acqua nel deserto.
Questo libro, in particolare, fa risuonare nella mente e nel cuore, quasi fosse una canzone, la stessa domanda che ha spinto l’autrice a fare ricerche, a viaggiare in lungo e in largo per documentarsi, prima di scrivere questa trama:
Se sei una persona capace di diventare un ponte, perché non farlo?
Il libro, che fa parte delle collezioni della Sala Narrativa, è disponibile in Biblioteca per il prestito.
2 Settembre 2021
Non me l’aspettavo un libro così!! Grazie, Mara Mundi, per la chiarezza evocativa delle tue recensioni.
20 Settembre 2021
Grazie a te, Annalisa, per l’attenzione con la quale sempre ci segui e per gli spunti di riflessione che offri costantemente nel gruppo di lettura della Biblioteca.