A un anno o poco più dalla comparsa in Italia dei primi casi di Covid-19, siamo ancora in piena emergenza, ci sono ancora zone d’ombra corpose e pesanti sulla questione, passaggi che al cittadino comune sono sfuggiti o sfuggiranno per sempre, cose che ci sono state nascoste, altre ancora che si sarebbero manifestate, nel tempo, in forma ineluttabile e a danno di chi, sulla propria pelle, ha vissuto il disastro della inadeguatezza o, ancora peggio, le conseguenze di certi evitabili errori.
Francesca Nava, giornalista di inchiesta di grande spessore ed esperienza, è stata la prima ad indagare, in presa diretta, sin dal febbraio 2020, su quanto cominciava ad accadere in Lombardia, la più efficiente e ricca delle regioni.
La giornalista è partita dalla testimonianza di un medico di base di Bergamo, sua città natale, che ha svelato cose che ancora oggi non troviamo scritte da nessuna parte.
In seguito – attraverso il confronto con medici ospedalieri, con i parenti delle vittime, con imprenditori, docenti universitari, lavoratori – ha potuto accedere a documenti ufficiali e ricostruire una verità che restituisse risposte plausibili, là dove le tante vite perse non sarebbero certamente state mai più restituite ai loro cari.
Un po’ alla volta si è ricomposto un puzzle disarmante, che almeno in parte ha spiegato quanto ancora stava accadendo, a cominciare dal primo, gravissimo errore: il focolaio sviluppatosi in un ospedale in provincia di Bergamo, in Val Seriana – dal quale tutto ebbe inizio – che non venne mai isolato.
A cascata, una serie di negligenze e azioni gravi, connesse tra loro, sanitarie e non solo; da una parte le pressioni del mondo industriale, dall’altra il fallimento della medicina territoriale lasciata allo sbaraglio, la mancanza dei presidi minimi per poter operare in sicurezza, la superficialità e l’incompetenza, a tratti persino la “negazione” di qualcosa che non si conosceva (o non si è voluto accettare) e, nel mezzo, prese di posizioni politiche deboli o inesistenti.
Da quel primo tragico errore in poi, il deflagrare della malattia sarà inevitabile e fuori controllo, con omissioni di responsabilità a vari livelli – Organizzazione Mondiale della Sanità, Governo, Regioni – nell’ambito di ognuno dei quali vi sono state mancanze che avremmo poi pagato a caro prezzo e che ancora paghiamo. Fino alla “conta dei morti” – che a lungo e in molte regioni di Italia è parsa “solo” un tragico bollettino di guerra, ma pur sempre estraneo ai più –, alla chiusura del paese intero e a tutto quello che, in termini economici e sociali, ma anche umani, formativi e relazionali, questo ha provocato e sta provocando.
La forza di questo libro-inchiesta è nella sua scrittura asciutta, nella lucidità inesorabile del racconto che non smussa e non fa sconti, nel valore assoluto e nell’attendibilità dei dati raccolti; soprattutto è nel coraggio assai rischioso di esser nato “dentro” ai fatti e non certo a bocce ferme, mentre ancora tutto era in ballo, l’acqua ci arrivava al collo e il rischio di affogare era più grave che mai.
Pagine necessarie oggi, e alle quale probabilmente attingeranno le generazioni future per studiare la storia di questi anni, ma anche l’omaggio più umano e serio che si potesse offrire in memoria delle tantissime persone che sarebbero potute essere salvate.
Francesca Nava, Il focolaio. Da Bergamo al contagio nazionale, Editori Laterza, 2020.
Francesca Nava, giornalista e documentarista, autrice di inchieste e reportage in Italia e all’estero per La7, Mediaset, Euronews e Skytg24. Vincitrice del “XX Premio giornalistico Ilaria Alpi”. Terroriste, Zehra e le altre è il suo ultimo docufilm. Attualmente lavora come inviata per Rai3. Per TPI ha realizzato un’inchiesta in più parti su quanto avvenuto a Bergamo durante l’emergenza Coronavirus.
Il romanzo è tra i cinque finalisti del premio Presidi del libro “Alessandro Leogrande”