Teresa Ciabatti, Sembrava bellezza, Mondadori, 2021.
«La persona che sei adesso ha l’occasione di evitare l’irreparabile. La tua seconda possibilità, per riparare al passato. Allora chiudo gli occhi, chiudo forte gli occhi, sono diventata scrittrice per questo: inventare, sistemare».
La protagonista, scrittrice affermata, quarantasettenne, fatica ad affrancarsi dalla propria difficile adolescenza. I suoi ricordi sono fermi laggiù, cristallizzati in un orizzonte temporale ormai lontano trent’anni e che non ha potuto o non ha saputo vivere appieno.
Tutti i fantasmi di un passato doloroso ed estremamente conflittuale nei confronti della propria immagine e delle proprie origini riemergono ogniqualvolta torna a misurarsi con quel trascorso.
È una donna piena di risentimento e di invidia, completamente concentrata su un fortissimo desiderio di rivalsa. Tutta la sua vita va letta in questo senso.
«Ogni rapporto, dentro e fuori casa, ha preso la forma del torto da vendicare. Cos’è del resto il romanzo che mi ha dato fama se non una vendetta contro i miei genitori morti? E contro me stessa – se solo voi detrattori foste in grado di leggere le metafore, sforzatevi».
Troppo povera, troppo grassa, troppo goffa, troppo sola, emarginata dagli sfarzi borghesi della vita pariolina in cui è stata trasferita dalla provincia, immersa in un universo frivolo ed egoista di cui, per contro, condivide pienamente la bramosia, «il desiderio di essere protagonista di qualcosa».
Talmente sola da desiderare follemente di emulare le intricate vicende di Mirella Gregori e Emanuela Orlandi, di «essere la ragazza sui manifesti», svanite, come vuole la leggenda romana, sotto una botola di un camerino di Babilonia, un negozio di Via del Corso, per essere vendute nei mercati della tratta delle bianche, e, infine, di immaginare trionfalmente il proprio salvifico ritorno a casa «nell’applauso della folla».
Oggi cresciuta, famosa, sposata, madre, è, forse, convinta di aver vinto definitivamente quell’inadeguatezza che ha dovuto combattere.
Di fronte alle telecamere e ai microfoni ha scoperto di essere diventata bella, apprezzata se non addirittura amata, un’altra sé, che, tuttavia, dovrà impegnarsi duramente per conservare l’interezza di questo istante perfetto, per non consumare troppo rapidamente quello che ha faticosamente perseguito e poi raggiunto.
È proprio qui che incontra Federica, la migliore amica ai tempi del liceo, a metà della propria esistenza, nel pieno della propria metamorfosi, ed è qui che, ancora una volta, la protagonista è costretta a ripercorrere quel passato da cui è fuggita, i suoi nodi irrisolti e gli errori non riparati.
Con Federica ha condiviso lo stesso disagio, la stessa fragilità narcisistica, «creature in formazione, esseri sghembi speranzosi di assestamento», insieme incapaci di reggere il confronto con l’irraggiungibile avvenenza della sorella dell’amica, «gambe lunghe, fianchi stretti, seno perfetto. Eccola ancora lì, in quel corpo aggraziato, Livia», che, a soli diciassette anni, portata al gesto estremo da un dolore misterioso, riporta danni cerebrali irreversibili e resta prigioniera tanto della propria bellezza, quanto della propria adolescenza.
«Insieme a Livia precipitiamo tutte. E io mi sottraggo, non voglio tornare reietta. Meglio il primo piano di Via dei Monti Parioli, divani beige. Padre violento, madre depressa. Meglio io del frutto marcio, della rosa appassita».
Teresa, o chiunque sia la protagonista della narrazione, è perfettamente consapevole delle proprie ambiguità e delle proprie debolezze e, attraverso il proprio mestiere di scrittrice, indaga, scandaglia e rimescola rigorosamente presente e passato, onestà e menzogna, integrità e dissolutezza, affrontando prepotentemente il concetto di rigore narrativo.
Teresa Ciabatti, nuovamente in corsa per il Premio Strega, dopo la partecipazione, nel 2017, con La più amata, è proposta, per questa LXXV edizione, da Sandro Veronesi, con la motivazione: «è una lezione di letteratura narrativa, per tutti quelli che ancora non hanno smesso di esercitarsi nel fallimentare tentativo di tenere separate, nei romanzi, verità e finzione.
Marcello Curci