La ferita che salva

“Trasformare in una storia la nostra vita”. Riflessioni su L’ultima ferita, di Simone Saccucci

«È l’unico modo che abbiamo per vivere davvero, non credete?»
«Cosa?»
«Trasformare in una storia la nostra vita.»

Questa libro parla d’amore, di desiderio e parla un po’ anche di dolore. Parla di quanto sia importante restar aderenti al presente, e parla del passato che alle volte ci aiuta in questa impresa.

La cosa che lo rende speciale, però, prima ancora della trama, è il suo alfabeto. Il modo in cui arriva ai giovani, così come li definiamo “noi”. Questo libro parla a quella delicata fascia d’età che è l’adolescenza, così temuta da noi altri, come fossero, gli adolescenti, degli esseri non proprio umani, un po’ selvatici, inarrivabili. Non esattamente della nostra specie, non così decifrabili, e “noi” fermi, sempre qua, sospettosi e guardinghi, a indagare, a studiare, a cercare di capire come si fa a parlare con loro, a loro.

Questa storia, si rivolge a “loro” senza soggezione, senza inciampi. Parla in modo onesto e diretto a ragazze e ragazzi, audaci ma ancora senza scorza, “grandi” ma non ancora adulti. E lo fa con rigore, senza filtri e senza risparmiare niente al lettore. Senza privarlo mai delle sorprese, e neanche delle difficoltà, di certi passaggi obbligati della vita.

L’ascolto

È un romanzo che ha in sé forza ma anche garbo, che parla con gentile schiettezza a degli individui pensanti, non a dei bambocci un po’ cresciuti! Persone. Persone che dubitano, che esigono e vacillano e chiedono, e vogliono attenzioni, e pretendono ascolto. Se l’ascolto non c’è, si perdono. L’ascolto, dunque, che è più importante delle risposte.

Persone potenti ma anche nude e vulnerabili, come vulnerabile e nuda è la giovinezza. Ve la ricordate voi, la giovinezza? Quel sentirsi scorticati, incompresi, presi e buttati nell’arena senza scudo. E senza pelle, verrebbe da dire, perché (buon per loro) i ragazzi e le ragazze non hanno (ancora) tutti quegli strati che invece stringono e aderiscono perfettamente a “noi”, a quello che siamo diventati noi con il tempo, neanche fossimo cipolle.

Un buco pieno di vuoto

Questo romanzo racconta di relazioni, del bene di cui le persone si fanno dono, ma anche di pezzi che saltano, alle volte, mandando in malora equilibri senza dei quali non si può stare. E parla, questo libro, di accudimento reciproco e cura, ma anche del vuoto che sentiamo dentro, un buco enorme, pesante, un buco pieno di vuoto.

Un vuoto pieno di gente e rumore e cose da fare.

Parla cioè della ferita (l’ultima?) che, come il marchio di Caino, in Demian, di Hermann Hesse, non guarisce, non passa, ci marchia e resta, e magicamente torna a farsi sentire (a sanguinare) ogni volta che ci facciamo male. Arriva in nostro aiuto, sembra volerci suggerire qualcosa, indicarci la via.

Noi, al nostro buco, dovremmo dire grazie. Dovremmo farcelo amico, questo vuoto, dovremmo provare a non averne paura. Che è un traguardo difficile da raggiungere. Questa storia forse, un po’ ci porta in quella direzione, ci aiuta ad arrivare in quel punto.

L’ultima ferita prova ad allentare un nodo assai stretto, e lo fa come fosse semplice nominare certe cose. La più spaventosa di tutte, per tutti, non solo per i ragazzi, è la paura di perdersi e di impazzire. È la paura di ammalarsi di vuoto, appunto.

Racconta, poi, del desiderio vitale, che è una specie di ribellione che ci agita dentro e spinge a entrarci, in questa voragine, per capire di cosa è fatto quel buco nero che mette addosso la voglia di scappare e andar a stare, almeno per un po’, in un altro mondo, fantastico, magico, più bello e più leggero di quello vero.

Trasformare in una storia la nostra vita

Tra le pagine capiamo, lo vediamo coi nostri occhi, quanta forza ci sia nelle storie e quanta di questa forza ci arrivi addosso, all’improvviso, quando trasformiamo in una storia la nostra vita. E capiamo anche quanto importante sia la passione, che è l’unica via, l’unico antidoto che ci può salvare. Cos’è che amiamo, davvero? Cosa ci piace? Cosa vogliamo fare, veramente? Due cose! Due cose in cui credere, due cose da nutrire, da perseguire, potrebbero bastare, ché come dice il nonno a Maya, non si può amare tutto insieme.

L’ultima ferita è una storia significativa e intensa, sin dal titolo, che entra e va a cercare e a toccare i sentimenti più nostri, ma non è mai consolatoria né melensa, e ci ricorda che è da lì che veniamo, dal sentire, dal donare, dal fare insieme, dalla mancanza, dallo sforzo che ci vuole, dai silenzi prima ancora che dalle parole, e dalla nostra ferita, certo, che è di questo che siamo fatti, tutti quanti, grandi e piccoli.

Il Premio

L’ultima ferita, di Simone Saccucci (Giralangolo, 2023) ha vinto il Premio di Letteratura per Ragazze e Ragazze “la Magna Capitana”, per la categoria 12 +. Questa terza edizione del Premio ha visto coinvolti più di 3600 alunni delle scuole primarie e secondarie di primo grado di tutta la Puglia, per un totale di 55 scuole e 200 classi. La giuria, che ha decretato i vincitori nelle diverse categorie, come nelle precedenti edizioni, è formata esclusivamente dai piccoli studenti delle classi che hanno aderito al progetto.

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Pugliese. Quel che più ama: i figli, il blu mare, i colori primari e, a partire da quelli, tutti gli altri, la pagina scritta, la parola che cura, i bambini, danzare, e la sua Stromboli.

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