Prolegomeni di una Letteratura musicale concentrazionaria
I Musicisti dei Campi di concentramento e la loro musica incisa nell’Enciclopedia discografica KZ Musik (Musikstrasse, Roma) dal pianista e direttore d’orchestra Francesco Lotoro e archiviata presso la Biblioteca internazionale della Letteratura musicale concentrazionaria di Roma
I. Musica dei Campi o concentrazionaria
La Letteratura musicale concentrazionaria è l’intera produzione musicale (lirica, sinfonica, da camera, strumentale, pianistica, liederistica, corale) dei più diversi generi (dalla musica colta al cabaret, jazz, canto religioso, popolare e tradizionale, musica di camerata, leggera, d’intrattenimento e per varietà, operine e musica per ragazzi sino a opere frammentate o ricostruite dopo la Guerra) prodotta dal 1933 (anno di apertura dei Campi di Dachau e Börgermoor) al 1945 (fine della 2a Guerra Mondiale e liberazione di tutti i Campi) da musicisti imprigionati, deportati, uccisi, sopravvissuti provenienti da qualsiasi contesto nazionale, sociale e religioso nei Campi di prigionia, transito, lavoro, concentramento, sterminio, Penitenziari militari, POW Camps, Oflag e Stalags aperti sia da Terzo Reich, Italia, Giappone, Repubblica di Salò, regime di Vichy e altri Paesi dell’Asse che da Gran Bretagna, Francia, Unione Sovietica e altri Paesi Alleati.
In altre parole, chiamasi Letteratura musicale concentrazionaria tutta la produzione musicale creata in cattività o in condizioni minime ed estreme di privazione dei diritti fondamentali dell’essere umano. Il Campo è il valore aggiunto alla produzione musicale concentrazionaria. Non è importante sapere dove sia stata composta quella Sinfonia di Beethoven o quel Valzer di Chopin. Ma è fondamentale sapere in quale periodo della Guerra e in quale Campo siano stati composti quei Lieder o quella Sonata per pianoforte senza tuttavia lasciarsi influenzare da tali elementi contingenti nel giudizio critico dell’opera musicale. C’è grande, buona, discreta e mediocre musica scritta nei Campi e come tale va eseguita, ascoltata e criticata.
Non è questa una limitazione o restrizione del valore artistico della musica concentrazionaria. Bisogna considerare la musica come valore assoluto che non abbisogna di ulteriori elementi storici o dell’enorme e tragico veicolo storico della 2a Guerra Mondiale o della Shoah. L’elemento cattività aiuta a ricavarne ulteriori considerazioni storiche ed estetiche ma non deve influenzare il giudizio critico sul peso specifico dell’opera musicale in sé. I filtri intellettuali validi per l’intera produzione musicale debbono altresì valere per la musica concentrazionaria perché è questo che i loro Autori (la gran parte dei quali pienamente inserita nel tessuto artistico-musicale nazionale prima della 2a Guerra Mondiale) in fondo avrebbero voluto.
È necessario considerare ogni Campo come espressione creativa slegata persino da ogni confronto con altri Campi. Ogni Campo ha avuto la sua genesi ed è stato soggetto a fenomeni di deportazione differenti l’una dall’altra. Non solo, ma la produzione musicale di ogni singolo Campo è spia dell’estrazione sociale dei deportati, della loro capacità creative in quel determinato luogo nonché della possibilità di accedere o meno a strumenti musicali (quali e quanti), eseguire le proprie opere; in altre parole, fare attività musicale. La musica scritta da ufficiali tedeschi o soldati italiani nei Campi degli Alleati ha valore artistico ed esige il medesimo rispetto intellettuale della musica scritta da Ebrei o cristiani o comunisti deportati nei Campi del Terzo Reich.
È questo il privilegio della Musica, universale in quanto tale è la creatività musicale. Essa deve essere eseguita, studiata e analizzata a prescindere da biografia, pensiero e ogni altro elemento correlato al suo Autore. Ciò è indispensabile anche al di là del discorso concentrazionario. Altrimenti, come considerare la musica di Liszt o Wagner, grandi Maestri della musica occidentale notoriamente antisemiti?
II. I musicisti del 17 ottobre
Theresienstadt era una ex città militare, una Cecchignola asburgica abbandonata nel 1918; Gavrilov Princip, che sparò all’arciduca d’Austria, marcì nelle sue galere. Durante la 2a Guerra Mondiale fu scelta da Reinard Heydrich e Adolf Eichmann quale Campo di transito per la deportazione di Ebrei. Costruita per 7mila persone, giunse a ospitarne anche 60mila. Furono deportati Ebrei veterani e invalidi di guerra che avevano combattuto nell’esercito prussiano durante la 1a Guerra Mondiale, oltre che rinomati intellettuali e artisti Ebrei provenienti da Praga, Brno e Vienna; molti di loro musicisti.
Nell’aprile 1944, il cantante Karel Berman chiese al compositore ceco Pavel Haas (entrambi deportati a Theresienstadt) di scrivere qualcosa per lui che fosse originale ed eseguibile con un pianoforte. In lingua ceca, anche se da 2 anni le autorità tedesche d’occupazione a Theresienstadt avevano interdetto ai musicisti cechi di comporre in lingua madre; troppi messaggi cifrati e citazioni di inni nazionalistici, in lingua tedesca si controllava meglio. Ma in pieno 1944 molte disposizioni decaddero sotto gli occhi indulgenti delle SS; la Guerra andava male (per il Terzo Reich), c’era ben altro da preoccuparsi. Haas si mise all’opera e nella piccola biblioteca di Theresienstadt trovò un libretto di poesie cinesi tradotte in ceco da Bohumil Mathesius; nacquero i 4 Lieder su testi di poemi cinesi. Berman se li studiò in poche settimane e li eseguì il 22 giugno 1944 (al pianoforte, Rafael Schaechter) nel Municipio di Theresienstadt dinanzi a un pubblico plaudente.
In quella stessa sala, pochi mesi prima, il violinista Karel Fröhlich suonava mentre il suo pubblico era sulla lista di coloro che sarebbero partiti la mattina dopo per l’Est, eufemismo in luogo del quasi impronunciabile Auschwitz. Fröhlich, la notte stessa, scriverà: ho suonato per un pubblico di morti. Per coloro che sopravviveranno, forse tutto ciò avrà un senso.
Pavel Haas fu fatto salire il 16 ottobre 1944 su un treno assieme a tutti i musicisti di Theresienstadt. Il convoglio partiva dal binario tronco del Campo, cambiava stradaggio a Litomerice e arrivava alla piattaforma di Birkenau; chi proveniva da Theresienstadt era quasi certamente destinato al Trattamento Speciale, altro eufemismo in luogo della morte per gasazione. Viktor Ullmann compose a Theresienstadt Der Kaiser von Atlantis, amara allegoria sulla natura del nazismo. In procinto di essere allestita presso la Sokolhaus di Theresienstadt, l’autorità tedesca interruppe l’allestimento dato che trovava il personaggio principale dell’opera (lo sgradevole e maniacale Kaiser Überall) fortemente simile a Hitler. Ullmann voleva portare con sé la partitura del suo Kaiser; dovettero con la forza farlo desistere e convincerlo a nasconderla. Saggia idea; a Birkenau gliela avrebbero immediatamente strappata dalle mani, prima della dignità e della vita. Berman si salvò per miracolo; arrivato ad Auschwitz dirà al dottor Mengele d’essere operaio. Il cantante Luc Weissenstein, sceso prima di lui, disse la verità e finì al Trattamento Speciale.
17 ottobre 1944: in quello stesso giorno Pavel Haas, Viktor Ullmann (entrambi avanguardia storica delle scuole di Hàba e Schoenberg), Bernard Kaff, Hans Kràsa, Viktor Kohn, Egon Ledec, Rafael Schaechter, James Simon, Carlo Sigmund Taube morivano nelle camere a gas di Auschwitz. È una data tristemente epocale per la cultura, la civiltà e l’arte mitteleuropea. In poche ore scomparve una intera generazione di musicisti, compositori, celebri virtuosi della tastiera, quinta colonna di tutta l’intelligentsia ebraica dell’Europa centro-orientale e che contava tra le proprie file rinomati intellettuali come Jakob Edelstein, rabbini come Leo Baeck, artisti del teatro e dello spettacolo come Kurt Gerron, Frantisek Zelenka e Gustav Schorsch. Chi scampò a quel famigerato convoglio trovò ugualmente la morte per dissenteria (l’anziano Rudolf Karel, già allievo di Antonin Dvorak), tifo (il giovane e promettente musicista tedesco Zikmund Schul) o addirittura scomparve divorato dalle miniere slesiane della Fürstengrube (il pianista e compositore Gideon Klein). Uno spaventoso buco generazionale del quale solo oggi l’intellettualità sta prendendo coscienza. Pagine come le Sonate per pianoforte di Viktor Ullmann sono ai vertici del linguaggio musicale. Non si può prescindere da Ullmann nell’analisi tecnica ed estetica della Sonata e della scrittura pianistica contemporanea che troverà i più alti vertici nella Sonata n.2 di Pierre Boulez, la Concord Sonata di Charles Ives e la Sonata di Henry Dutilleux. I pezzi per quarto e sesto di tono di Gideon Klein sono pagine di confronto nella sperimentazione pura degli strumenti ad arco aperta da Hàba e la Passacaglia e Fuga per quartetto d’archi di Hans Kràsa offrono un esempio di modernità di strumentazione. I Madrigali di Gideon Klein sono pagine difficili, introspettive, che esigono una emissione particolare della voce. Lo Studio per orchestra d’archi di Pavel Haas è oggi considerato una delle pagine più difficili del repertorio orchestrale, autentico cavallo di battaglia delle più rinomate orchestre sinfoniche.
Qualcuno tornerà a farsi le solite domande: cosa sarebbe stata la Storia della Musica se questi musicisti fossero sopravvissuti? Stessa domanda del tipo che cosa sarebbe stata l’Umanità se la biblioteca di Alessandria non fosse stata bruciata; con la tragica variante di grandi cervelli umani al posto di libri e papiri.
III. I sopravvissuti
I musicisti sopravvissuti, variazione sul tema della Shoah. Karel Berman di Praga era sopravvissuto ad Auschwitz, fu liberato dalle truppe statunitensi a Kauffering; nei Campi perse tutti i suoi parenti. Dopo la Guerra, ricominciò a studiare al Conservatorio della sua città e divenne un grande cantante dell’Opera di Praga.
Anche Frantisek Domazlicki si salvò dopo esser stato deportato a Oranienburg per costruire impianti di fabbricazione del gas per la loro stessa soppressione fisica. Un ufficiale tedesco gli disse che, finito il lavoro, sarebbero stati tutti fucilati. Misteriosamente, lui e gli altri si salvarono; la sua fidanzata Eva, invece, non fu così fortunata. A Theresienstadt Domazlicki scrisse per lei un’Ouverture per orchestra ma perse i fogli della partitura; dopo la Guerra, la riscrisse a memoria.
Stepan Lucky venne deportato a Buchenwald; quando lo incontrai a un concerto nel 1993 a Praga gli chiesi un autografo. Firmò con mano malferma, calligrafia illeggibile. Al pianista Lucky i tedeschi storpiarono la mano destra; sopravvissuto, dovette rinunciare alla carriera pianistica e dedicarsi alla composizione.
Eliska Kleinova era la sorella di Gideon Klein, virtuoso della tastiera e compositore della Scuola di Alois Hàba. Quando nel 1993 la incontrai nell’ormai scomparso negozio di musica Divertimento di Praga, era ancora lì sprofondata negli spartiti del povero fratello. Mi disse che all’arrivo degli Alleati presso le miniere di carbone della Furstengrübe, il corpo di Gideon non fu trovato e che lei non sapesse neanche se e quando fosse morto. Mi parlò della Sonata che Gideon scrisse su un pianoforte che era diviso in turni di mezz’ora, per consentire a tutti i musicisti di Theresienstadt di esercitarsi. Mi consegnò lo spartito, che divorai alla tastiera; era zeppo di errori, sviste e refusi. Revisionai lo spartito e lo incisi; Eliska ne fu entusiasta, mi chiese di spedirle la Sonata da me corretta. Non fece in tempo a darle un’occhiata, morì nel 1999 dopo lunga malattia. Mi piace pensare che Gideon sia ancora vivo da qualche parte.
A Praga vive un mio caro amico, il dottor Ivan Karel, figlio di Rudolf, morto dopo che già dissenterico fu lasciato fuori dalla sua cella sotto la pioggia nel cortile della Piccola Fortezza di Theresienstadt. Rudolf non era Ebreo ma prigioniero politico (partecipò alla Resistenza cecoslovacca) e a lui era altresì interdetto scrivere, pertanto scrisse un Quaderno musicale op. 42, un Nonetto (steso in partitura al pianoforte) e l’opera I 3 Capelli del vecchio Saggio su fogli di carta igienica che un guardiano del Penitenziario militare Pankràc di Praga faceva regolarmente pervenire fuori dal carcere. Scoperto, il guardiano finì anche lui in cella.
Nel 1988 assistetti ad alcune ultime lezioni di composizione di Olivier Messiaen che mi sciorinò consigli sul suo Quatuor pour la fin du temps per violino, clarinetto, violoncello e pianoforte. Durante la Guerra Messiaen, assistente ospedaliero dell’esercito francese, venne arrestato nel 1940 e deportato presso lo Stalag VIIIA di Görlitz, in Slesia; ivi compose ed eseguì il Quatuor. Nel Quatuor, clarinetto e pianoforte non suonano mai alcune note; a Görlitz mancavano le relative chiavette e corde sugli strumenti.
In Israele vive probabilmente la maggior parte dei musicisti sopravvissuti ai Campi. A Gerusalemme incontrai Greta Klingsberg Hoffmeister, la quale recitò Aninka nell’operina Brundibàr di Hans Kràsa. Greta mi disse che a Theresienstadt il Brundibàr era diretto da Rudolf Freudenfield. Lei non riuscì mai ad incontrare Kràsa, il quale se ne stava sempre in disparte, non voleva disturbare le prove dei suoi lavori…
In una lussuosa casa di riposo di Rishon Le-Zion incontrai Uri Spitzer, percussionista della popolare Jazz Band di Papa Haas presso le Isole Mauritius. Spitzer faceva parte di un gruppo di 1600 Ebrei che, imbarcatisi sulla Atlantic per la Palestina Mandataria non solo si videro respinti dalla Marina britannica alle porte di Haifa ma quest’ultima li arrestò tutti deportandoli presso le Isole Mauritius. Nel Campo dell’isola, gli Ebrei misero su svariate attività, una scuola talmudica e persino un campionato di calcio. I musicisti allestirono una Bohemè di Puccini; Spitzer mi consegnò una piccola pagina musicale scritta nel Campo e un mare di ricordi.
La cantante Ruth Levin vive a Gerusalemme. Lei canta le musiche del padre Leibu, deportato nei Campi sovietici. “Come è possibile, i Sovietici imprigionarono Ebrei nei Campi durante la Guerra?” Gli domandai. “Certo”, mi rispose. Levin era innanzitutto un rumeno della Transnistria e la Romania era Paese collaborazionista del Reich; un nemico degli Alleati, dunque. E così scoprii che centinaia di ragazzi Ebrei rumeni della Transinstria vennero imprigionati nei Campi siberiani, antesignani dei gulags post-bellici. Molti ragazzi riuscirono a far ritorno alle loro case, qualcuno di loro ebbe la felice idea di scrivere le bellissime melodie imparate nei Campi. E quelle melodie, grazie a Ruth Levin, erano finalmente tra le mie mani.
Il tenente Albino Bellon mi consegnò le Canzoni dei soldati e ufficiali italiani deportati nel Campo 21917 ossia il famigerato Stalag 328 presso la città polacca di Leopoli (oggi in Ucraina). Una di queste è in dialetto milanese, Lontan de ti Milan, scritta in novembre 1943 e colà eseguita più volte con l’accompagnamento di 3 chitarre. Lo stesso canto si trova negli archivi del Campo di concentramento di Wiezendorf presso Bergen Belsen, dove gli italiani vennero deportati nel gennaio 1944. Nello Stalag II B 313 presso Hammerstein e il complesso industriale della Stolp il tenente italiano Lugli scrisse nella primavera del 1944 musica e versi del Canto dei prigionieri italiani. Come in altri Stalags, estemporanee compagnie di varietà, piccole orchestre leggere, attori e comici allestivano spettacoli di prosa, cabaret, balletti, canzoni, sovente vestiti da donne. Ma in alcuni Stalag e Oflags grandi compositori francesi scrissero autentici capolavori, pietre miliari della produzione sinfonica del ‘900: Emile Gouè (autore di un Concerto per pianoforte e orchestra, una Sinfonia n.2 per violino principale e orchestra, un Preludio, Corale e Fuga e Preludio, Aria e Finale per pianoforte oltre a numerose pagine pianistiche, quartettistiche e cameristiche nello Oflag XB Niemburg/Weser), Jean Martinon (nello Stalag IX Ziegenhain compose la Sonatina n.3 per pianoforte, Absolve Domine per coro maschile e orchestra, Salmo 136 op. 33 per narratore, soli, coro e orchestra e altro), Robert Lannoy (nello Stalag XVIIB scrisse Pygmalion, incompleta), Maurice Thiriet (nello Stalag IXA scrisse 3 Mottetti per coro, Oedipus Rex per narratore e orchestra, ecc.), Marcel Dautremer e altri.
Anche il mitico Giovannino Guareschi (quello di Peppone e Don Camillo), internato in un Campo tedesco per prigionieri di guerra dal Settembre 1943 al 1945 (Beniaminow, Oflag 73 e Sandbostel, Oflag XB) scrisse i testi di 2 canzoni (Carlotta e Magri ma sani) su musiche di Arturo Coppola, internato nei medesimi Campi.
Nel 1939 il governo olandese allestì un Campo profughi a Westerbork (nella provincia di Drente al confine con la Germania) con lo scopo di far fronte al massiccio arrivo di rifugiati Ebrei provenienti dalla Germania. Quando il 10 maggio 1940 il Reich invase i Paesi Bassi, 18mila immigrati avevano già trovato rifugio a Westerbork e in altri Campi olandesi. Il 1 luglio 1942 divenne iniziarono le deportazioni di Ebrei olandesi, tedeschi e Rom a Westerbork. Dal 2 febbraio 1943 partirono regolarmente treni diretti verso l’Est e diretti ad Auschwitz, Sobibor, Theresienstadt, Bergen Belsen. A Westerbork si tenne una ricca attività musicale; ogni martedi si tenevano le Bunter Abend; concerti sinfonici, sessioni di jazz e cabaret di altissimo livello alla quale parteciparono artisti del calibro di Willy Rosenbaum detto Rosen, Erich Ziegler, Max Ellrich, il duo Johnny&Jones e Martin Roman. Esistono alcune incisioni rimasterizzate in CD di canzoni del duo voce-chitarra Johnny&Jones (nomi d’arte di Nol van Wesel e Wax Kannewasser), tra le quali la celebre Westerbork Serenade. Esse furono incise presso gli studi Nekos di Amsterdam nell’agosto 1944. Johnny e Jones, già deportati a Westerbork, furono scortati dalle guardie del Campo fino agli studi discografici; le loro mogli rimasero a Westerbork come ostaggi, nel timore di fuga dei due Artisti. Entrambi furono successivamente deportati a Theresienstadt, Auschwitz, Sachsenhausen e Buchenwald ed infine Bergen-Belsen. Jones morì il 20 marzo 1945, Johnny circa un mese dopo, mentre le truppe britanniche liberavano Bergen Belsen.
In un antiquariato librario di Amsterdam, invece, ritrovai gli arrangiamenti corali scritti da prigioniere olandesi nei Campi giapponesi di Muntok, Palembang e Belalau (chi non ricorda il film Paradise Road con Glenn Close nei panni della direttrice di coro?); guarda caso, mentre nel Campo di Ravensbrück Ludmila Peskarova trascriveva per coro femminile il Largo della Sinfonia Nuovo Mondo di Dvorak, a migliaia di chilometri di distanza le prigioniere di Sumatra trascrivevano per il medesimo organico la stessa melodia.
Nel Campo algerino di Saida il capitano musicista Berto Boccosi, deportato con soldati e ufficiali italiani dopo la disfatta bellica della Campagna africana, scrisse pagine pianistiche, corali, Canzoni e la trilogia Nell’Uadi Saida per violoncello e pianoforte. Chiesi e ottenni dal figlio Riccardo di acquisire le opere del padre e realizzai con il direttore d’orchestra Paolo Candido il Fondo Boccosi a memoria e salvaguardia del patrimonio musicale di un grande musicista italiano deportato.
IV. Patrimonio dell’Umanità
È pur vero che a Theresienstadt ci fu una autentica esplosione di creatività musicale; basti pensare alla Sonata per pianoforte e al Trio per archi di Gideon Klein, alle Sonate per pianoforte, allo sconosciuto Don Quixote tanzt Fandango e all’opera Der Kaiser von Atlantis di Viktor Ullmann, ai 4 Lieder tu testi di poemi cinesi e allo Studio per orchestra d’archi di Pavel Haas, ai Rimbaud-Lieder e all’operina Brundibàr di Hans Kràsa. Ma ciò ha gradualmente portato a definire musica concentrazionaria quella prodotta unicamente a Theresienstadt.
Innanzitutto, non vanno assolutamente messi in second’ordine compositori meno conosciuti e pure essi deportati a Theresienstadt: Karel Berman (cantante e autore del bellissimo ciclo liederistico Poupata), Frantisek Domazlicky (scrisse Canto di Maggio per coro maschile e Romanza senza parole per quartetto d’archi), Hugo Löwenthal (trascrisse per violino e accordeon i Canti tradizionali ebraici per Pesach, Shavuoth e Sukkoth), Zikmund Schul e altri.
Non vanno altresì dimenticati i giovani talenti che il Campo ha stroncato, come il quindicenne Jiri Kummermann, autore di un Quartetto per archi di buona fattura. Soprattutto, occorre soffermarsi meglio sul corpus musicale prodotto negli altri Campi: i Canti religiosi ebraici per coro e 2 flauti a becco di Josef Pinkhof (Bergen-Belsen), la monumentale partitura pianistica della Sinfonia n.8 di Ervin Schulhoff (Wülzburg), i Quaderni musicali zeppi di Lieder, quartetti, pezzi per pianoforte solo o con coro e orchestra scritti da Jozef Kropinski (sopravvissuto, si trasferì a Breslavia, laddove lavorò presso una ditta agricola, morì pressochè dimenticato nell’ottobre 1970) e Alexander Kulisiewicz composti tra Auschwitz, Buchenwald e Sachsenhausen, gli inni cristiani del Campo rumeno di Targoviste, l’opera natalizia per marionette Szopka scritta a Dachau dai deportati polacchi con tanto di scheda scenica originale, i Tango argentini per pianoforte scritti da Z. Strjiecky (è pervenuta soltanto l’iniziale del nome) nello Stalag VIG di Bonn-Duisdorf, i Canti americani scritti dal colonnello Edmund J. Lilly nei Campi giapponesi di Taiwan e della Manciuria, la Sonata per violino e pianoforte di Hermann Gürtler (Bolzano), le opere di Marius Flothuis e William Hilsley nei Campi di Amersfoort e Kreuzburg (Hilsley, quacchero, compose una Missa natalizia per i suoi compagni detenuti cattolici), gli Inni multilingue del Campo del regime di Vichy presso Gurs, le Schlager (canzonette) del Campo norvegese di Grini, Cabarets e Chansons di Otto Skutecky, Karel Svenk, Martin Roman, Adolf Strauss ecc., l’inno Fest Steht del geovista Eric Frost (Sachsenhausen) tuttora in uso presso le congregazioni geoviste, i Canti dei Sinti e Rom presso i Campi di lavoro slovacchi arrivati a noi tramite la tradizione orale romanì e finalmente stesi in partitura dalla musicologa Jana Belisova, i Canti Comunisti presso i Campi di rieducazione sociale degli Emslandlager (tra l’altro, numerosi inni proletari ripuliti dalla censura), Lieder per coro maschile da Mauthausen, Treblinka e dai più remoti Campi di Francia, Italia, Paesi Baltici, Paesi Bassi, Ucraina, ex Unione Sovietica.
La Letteratura musicale concentrazionaria comprende altresì la musica degli Emigrè ossia musicisti con passaporto tedesco o austriaco come Berthold Goldschmidt, Jakob Tintner, Matyas Seiber, Peter Gellhorn, Leopold Spinner, Hans Gàl, Vilém Tausky e altri che, all’indomani delle Leggi di Norimberga, richiesero e ottennero asilo politico in Gran Bretagna. Allo scoppio della 2a Guerra Mondiale, alcuni di loro furono internati quale atto dovuto nei confronti di persone formalmente appartenenti a uno Stato belligerante. Nel Campo britannico di Huyton Hans Gàl scrisse la Huyton Suite, mentre sull’Isola di Man Peter Gellhorn compose i 2 Studi per violino e il quartetto The Cats. Per la medesima ragione, altri musicisti furono trasferiti sulla nave Dunera presso i Campi australiani di Hay e Tatura tra i quali il Rabbino della Sinagoga riformata di Berlino Boaz Bishopswerder (autore di una Phantasia Judaica per violino e pianoforte e di canti ebraici per Hazan e coro maschile) e suo figlio Felix Werder, che a Tatura scrisse la sua prima Sinfonia.
Non bisogna dimenticare la musica obbligata scritta su ordine delle autorità militari tedesche. Storia controversa, questa musica; basti pensare alla canzone di Treblinka Unterscharführer del tedesco Franz Suchomel (trovasi nel film documentario Shoah di Claude Lanzmann) dal testo offensivo nei confronti degli Ebrei o La Paloma di Iradier, suonata da un’orchestrina mentre gli Ebrei venivano condotti alle camere a gas. Tuttavia, in una dettagliata analisi critica della musica concentrazionaria bisogna momentaneamente prescindere dai pur legittimi giudizi morali, dando la precedenza alla documentazione storico-musicologica.
D’altronde, senza tale odioso criterio di imporre ai deportati la creazione di Canti o musiche da eseguire presso i circoli ufficiali tedeschi o intonare dopo l’appello e al ritorno dai lavori forzati non sarebbero nati autentici gioielli musicali come il celeberrimo Moorsoldaten composto da Rudy Goguel a Börgemoor (tradotto in numerose lingue ed esportato in diversi Campi per via degli spostamenti dei deportati), il Buchenwalder Lagerlied di Hermann Leopoldi (che il Kapò Fritz Grübau attribuì a se stesso) e le 3 Polonaises Varsovienne arrangiate da Szimon Laks e scritte su ordine di un Kapò ad Auschwitz.
V. Alla ricerca della Musica perduta
Altri pionieri della musica concentrazionaria hanno cominciato prima di me: il musicista e partigiano Schmerke Kaczerginski (Autore nel 1948 della preziosa raccolta Lider fun di getos un lagern), Guido Fackler dell’Università di Würzburg (Autore del monumentale Des Lagers Stimme), Bret Werb dell’Holocaust Memorial Museum di Washington, Johanna Spector e il suo libro Ghetto und Konzentration Lager Lieder aus Lettland und Litauen, Ulrike Migdal, David Bloch, Elena Makarova, Gabriele Knapp, Joza Karas, Robert Kolben, Milan Kuna, la scomparsa Blanka Cervinkova, Damien Top e altri.
Il titolo di pioniere della Musica dei Campi spetta sicuramente al musicista e cantante di Cracovia Aleksander Kulisiewicz, morto nella sua città natale nel 1982. Durante la sua prigionia a Sachsenhausen i tedeschi compirono su di lui esperimenti medici per il vaiolo. Dopo la Guerra, dedicò la sua vita a raccogliere il materiale musicale e poetico scritto dai deportati nei Campi del Terzo Reich: il suo scopo era pubblicarne un’antologia ma il volume non vide mai la luce.
Quando intrapresi l’incisione di queste opere in una Enciclopedia discografica (KZ Musik, Musikstrasse Roma), volli scoprire tutto di questa musica; ritengo impossibile eseguirla senza conoscerne coordinate storiche, geografiche e umane. In altre parole ho bisogno di studiare sugli autografi, analizzare copie minute e abbozzi, scoprire abitudini e deformazioni professionali dei loro Autori. E così ti accorgi che Viktor Ullmann, nel frontespizio delle sue Cadenze sui Concerti per pianoforte di Beethoven, scrisse che esse sono cinque (come i Concerti) anziché quattro, dato che l’Imperatore non ha cadenza esterna. Ma ti accorgi altresì che i due figli sopravvissuti di Ullmann (Johann Marcus e Felicia), dati per scomparsi, furono invece portati in Gran Bretagna e colà divisi; Johann Marcus vive tuttora. Berto Boccosi, con una gomma per colori, ha quasi del tutto cancellato dai suoi autografi ogni riferimento al Campo di Saida, mentre Charles Abeles nel Campo di Alberobello firmò il suo Valzer Felicità con l’indicazione Alberobello, lì 14 novembre 1941-XX, laddove il 20 romano era indicativo cronologico della cosiddetta era fascista. I Songs del colonnello Edmund J. Lilly nei Campi giapponesi di Cina recano come data gli ultimi giorni dell’agosto 1945; la Guerra finì a maggio 1945 nel Vecchio Continente ma proseguì nell’Estremo Oriente e nel Pacifico. Anche dopo Hiroshima e Nagasaki, passarono molte settimane prima che i Campi giapponesi della sperduta Manciuria venissero raggiunti e liberati dalle truppe statunitensi.
A 60 anni dalla fine della Guerra siamo ancora al Paleolitico della Storiografia della 2a Guerra Mondiale, a dispetto della mole documentaria e cinematografica. Manca all’appello la musica concentrazionaria, una delle più importanti eredità della Storia universale ricevute dalla tragica fenomenologia delle deportazioni e dalla catastrofe umana della Shoah. Universale, perché oltre 4000 opere non sono una curiosità; fanno Letteratura.
Siamo dinanzi a un imperativo che è stato alla base della decisione di Steven Spielberg di registrare le testimonianze dei sopravvissuti alla Shoah: la Memoria, DNA della Storia. La musica concentrazionaria è patrimonio dell’Umanità e deve ancora nascere la generazione di coloro che la vivranno come un normale fenomeno artistico e ne usufruiranno come legittimo Bene culturale.
Nel frattempo, occorrerà completare l’incisione dell’Enciclopedia discografica KZ Musik. Inoltre ci sono ancora Campi da censire, Fondi librari, sono da esplorare Antiquariati che conservino cartacei e collezioni musicali, Memoriali sorti laddove c’erano Campi e tutti i settori di Judaica delle più periferiche Biblioteche, persino quelle australiane, bobine radiofoniche (alcune organizzazioni umanitarie di paesi non in guerra come la Svezia avevano accesso ad alcuni Campi di prigionia tedeschi, pertanto conserviamo preziose registrazioni di concerti anche sinfonici con musiche scritte in quei Campi), audiocassette (alcuni musicisti deportati sopravvissuti hanno lasciato preziose testimonianze autoregistrandosi e accompagnandosi in alcuni casi con uno strumento musicale). Occorreva costituire un Archivio della musica concentrazionaria, catalogata e unificata anziché smembrata fra Musei, Memoriali e Biblioteche del mondo. Grazie alla Regione Lazio e all’Università Roma Tre è stata fondata a Roma la Biblioteca internazionale della Letteratura musicale concentrazionaria la quale diventerà la massima istituzione della produzione musicale nei Campi con migliaia di partiture, documenti, audio storici, saggi, pubblicazioni, ecc.
Si dovrà recuperare tutta la musica che manca ancora all’appello ossia quella depositata nel cervello dei sopravvissuti (Musicisti, attori di teatro, cantanti). Bisogna far presto, perchè la loro generazione è già molto avanti negli anni e, al passaggio a miglior vita, porterà con essa la Memoria di intere opere e pagine musicali che nessuno ha mai registrato. Alcuni sopravvissuti a Theresienstadt e oggi residenti in Israele cantano tuttora a memoria il varietà Lunga Vita alla Vita scritto dal poeta, attore, direttore d’orchestra e compositore Karel Svenk (trasferito ad Auschwitz nell’ottobre 1944, successivamente trasferito in un Campo di lavoro a Meuselwitz presso Lipsia, laddove morì nell’aprile 1945) e tempo fa hanno inciso per la Fondazione Beit Theresienstadt tutto ciò che ricordavano. Tanti ancora potrebbero fornire alla posterità materiale prezioso, anche una semplice melodia composta nei Campi. Perché, se una testimonianza perduta di un sopravvissuto, tutto sommato, non inficia la conoscenza storica della Shoah, la perdita di materiale musicale immagazzinato nella memoria di uno solo di essi costituirisce un danno irreversibile.
La musica non torna più; dopo la Guerra, un pianista jazz sopravvissuto a Dachau trascrisse su carta le improvvisazioni jazzistiche che lui eseguì con la sua Band nel Campo. Bastava prenderle in cambio di qualche centinaio di marchi tedeschi. Passarono molti, molti anni; il pianista di Dachau, evidentemente preso da crisi senile, buttò via tutta la sua musica.
Qualcuno doveva pur compiere questa ricerca minuziosa; occorreva naturalmente la competenza nella materia ma arriva per ognuno il momento in cui sente che lui e non altri possono e debbono realizzare quel progetto. Chi ha pianificato la Shoah voleva la nostra scomparsa fisica, intellettuale e artistica; noi Ebrei dobbiamo dimostrare non solo che siamo ancora vivi e vegeti e che abbiamo persino lo Stato di Israele ma che nel momento peggiore della storia dell’Umanità abbiamo come un sol uomo avviato quasi automaticamente i meccanismi più evoluti della conservazione ossia abbiamo scatenato una enorme esplosione di creatività, di Musica incomparabilmente bella e dei più alti livelli artistici; un testamento musicale che l’intera Europa ebraica scriveva a più mani dai luoghi più impensabili (i Campi) e che segnava il punto più alto del pensiero umano. La Musica scritta nei Lager capovolge le consuete prospettive culturali e religiose. Non siamo noi a dover ricordare che ciò è stato; sono Loro, i Musicisti dei Campi che ci ricordano (manoscritti e quaderni musicali alla mano) cosa siamo stati capaci di essere nel momento della nostra Catastrofe; un unico, grande popolo dalla memoria e identità incrollabile. Nel frattempo, tanti musicisti stanno incidendo con me l’Enciclopedia KZ Musik. Perché la musica concentrazionaria porta con sè non solo i segni identificativi di una Letteratura ma anche l’obbligo di riparare alle sofferenze subite dalla generazione dei musicisti vittime della più dolorosa tragedia umana.
“Ridar vita alle loro opere, senza aspettarsi altro; il resto verrà da sé”. Francesco Lotoro
Francesco Lotoro
Pianista italiano nato a Barletta nel 1964, ha studiato presso l’Accademia F. Liszt di Budapest con Kornel Zempleni, perfezionandosi altresì con Viktor Merzhanov, Tamas Vasary e Aldo Ciccolini. Pianista di tecnica trascendentale, si è specializzato nella letteratura pianistica di Johann Sebastian Bach del quale ha eseguito l’integrale de Il Clavicembalo ben Temperato, Suites Francesi, L’Arte della Fuga e Concerti per 1, 2, 3, 4 pianoforti e orchestra; inoltre ha trascritto per 2 pianoforti e inciso la Musikalisches Opfer, i Concerti Brandeburghesi, i 14 Canoni BWV1087 e la Deutsche Messe (eseguita e incisa con Aldo Ciccolini). La sua ricostruzione musicale e letteraria del Weihnachtsoratorium per Soli, coro e pianoforte di Friedrich Nietzsche (eseguito e inciso sia con il Coro della Radio Svizzera Italiana che con l’Ars Cantica Choir) è considerata un classico della filologia musicale contemporanea. Nel 1995 ha costituito l’Orchestra Musica Judaica con la quale ha inciso l’operina Brundibàr di Hans Kràsa (Theresienstadt, 1943) realizzandone numerosi allestimenti teatrali. Impegnato nella letteratura pianistica prodotta durante gli eventi più drammatici del Novecento, a 30 anni dall’occupazione della Cecoslovacchia (1968-1998) ha eseguito e inciso tutte le opere pianistiche e cameristiche scritte da Alois Pinos, Petr Pokorny, Petr Eben, ecc., a seguito dei fatti che posero fine alla Primavera di Praga. Tra i maggiori studiosi e ricercatori della Letteratura musicale concentrazionaria, è autore dell’Enciclopedia discografica KZ Musik (Musikstrasse, Roma), 32 CDs contenenti l’intera produzione musicale composta nei Campi di concentramento d’Europa, Africa Settentrionale e Asia dal 1933 al 1945. Ha completato la Sinfonia n.8 di Ervin Schulhoff per pianoforte e coro maschile (KZ Musik, vol. 5). Ha composto l’opera in 2 atti Misha e i Lupi, ispirata alla vita di Misha De Fonseca e la Suite ebraica Golà. Attualmente sta completando il Dizionario della Letteratura Musicale Concentrazionaria e la realizzazione pianistica del Tractatus Logico-Philosophicus di Ludwig Wittgenstein. È Responsabile scientifico della Biblioteca internazionale di Letteratura musicale concentrazionaria istituita da Regione Lazio e Università di Roma Tre. È Docente di Pianoforte presso il Conservatorio U. Giordano di Rodi Garganico.
A cura di Marco Maria Lacasella