Serie TV e narrazione

perché le serie ci piacciono

e in cosa assomigliano alla lettura

Durante il lockdown alcuni l’hanno sperimentata per la prima volta. Gli appassionati del genere però ci erano già dentro sino al collo e a prescindere da qualsiasi clausura forzata. Mi riferisco alla visione famelica e compulsiva – sembra non poter essere in nessun altro modo – di serie TV.

Molti hanno approfondito il fenomeno da punti di vista differenti. Se ne sono interessati sociologi, critici cinematografici, esperti della comunicazione, psicologi. Hanno azzardato delle ipotesi anche gli studiosi delle dipendenze patologiche che hanno osservato le risposte chimiche che le dipendenze innescano in una particolare area cerebrale.
Si è parlato di sintomi di vera e propria addict da serie. Ansia, nervosismo, malessere, si creerebbero tutte le volte in cui non è possibile soddisfare l’urgenza di “assumere” un manciata di puntate. Un senso di perdita e orfanità si avvertirebbe quando la serie è finita.
In nessun caso la dipendenza, o l’eventuale astinenza, avevano a che fare con dettagli pratici. Non la mancanza di un televisore, dunque, né le dimensioni dello schermo innescavano o peggioravano il disagio.
Il rapporto che il fruitore di serie stringe con il mezzo è assolutamente intimo e personale.
Spesso si tratta di uno schermo piccolo, non propriamente comodo, basta un tablet o lo smartphone (il mio tablet, il mio smartphone), o il portatile. Non importa se in casa ci sono a disposizione strumenti che permetterebbero una qualità di immagine superiore. Non importa condividere la visione con altri della famiglia o del gruppo.

Un’azione privata

Quel che conta è proteggere l’azione – che è quasi sempre privata – da quel che nel frattempo accade “fuori”.
Si sceglie il come e il dove. Soprattutto si decide quando guardare una puntata, e da quel momento si comincia ad avere cura per quel segmento di tempo dedicato.
Alle volte il tempo a disposizione è minimale, stretto in mezzo ad altre azioni. Altre volte c’è un giorno intero da spendere. Altre ancora il guardare spazzerà via priorità e urgenze e quel tempo che avremmo detto “a termine” si slabbrerà come un vecchio elastico.

La lingua

Si sceglie spesso di guardare la serie nella sua lingua originale, non importa se di quella non conosciamo neanche un vocabolo. Lo si fa non solo o non tanto per essere fedeli agli intenti registici, né per migliorare la propria pronuncia in quella o quell’altra lingua. Accade d’istinto, mossi da uno strano sentimento di appartenenza e di possesso. Lo si fa perché se quegli individui nel nostro schermo non sono più attori ma persone vere, è verosimile volerle conoscerle profondamente. Vogliamo sentire la loro vera voce, vogliamo cogliere ogni sfumatura nel tono, nei tic, nei modi di dire.

Desideriamo trovare corrispondenza tra le espressioni del volto e quella mezza frase sussurrata, o un respiro. Insomma, non vogliamo per nessuna ragione che tra noi e i nostri interlocutori, si interponga la figura di un doppiatore a noi del tutto estraneo.
Preferiamo sfinire gli occhi, pesti in piena notte nello sforzo di leggere i sottotitoli. Preferiamo perdere qualche dettaglio della fotografia o la bellezza di un’inquadratura. Ma non siamo disposti a sacrificare niente della nostra relazione con i protagonisti, essendo noi stessi coinvolti nella storia, parte di essa, insieme a loro.

Il fruitore di serie assomiglia poco sia all’appassionato cinofilo che al consumatore vorace di programmi TV.
Nel cultore di film infatti la visione è sacra, o almeno tale dovrebbe essere. Il film non prevede – o non prevedrebbe – interruzioni, pause a metà di una scena, spuntini, sonnellini, un panino, una pipì.
Chi vuole guardare un film come si deve – se può, tutte le volte che può – va al cinema. A casa, il cinefilo, soffre. Soffre per la scarsa qualità dell’audio e dell’immagine, per i rumori, per le interferenze, per la luce nella stanza. Chi resta a casa a guardare un film, cercherà di riprodurre quella condizione di estraneamento e di sospensione che soltanto in una sala cinematografica c’è. Proverà a proteggere, per quanto possibile, quel momento da azioni e gesti che quel tempo lo sciuperebbero. Ma non basterà. Nessun impegno basterà mai.

Teledipendente

Al polo opposto di quanto appena descritto, c’è chi assorbe qualsiasi cosa la TV passi; il consumatore bulimico di film, filmetti, TG, documentari, giochi a quiz, cartoni, televendite, pubblicità, partite, schermo nero…
Costoro hanno con la TV un rapporto perenne, passivo e scontato, come tra coniugi stanchi e non più innamorati; intendo con questo riferirmi a una relazione molto stretta, certo, ma che accettiamo a prescindere, o che subiamo anche quando non ci piace.

Il fruitore di serie si distanzia da entrambe le categorie e assomiglia, io credo, di più al lettore accanito e consapevole.
Come il lettore, avrà instaurato con i protagonisti della storia un rapporto quasi parentale, o di amore o di odio, molto forte comunque.

Il tempo

Il tempo per conoscere le caratteristiche di ogni singolo personaggio – dunque per familiarizzare con esso – è lunghissimo; assomiglia a quello che abbiamo a disposizione quando leggiamo un romanzo lungo con un protagonista centrale intorno al quale ruotano vicende diverse.
In questo caso non è certo una dipendenza dal mezzo a crearsi; il legame si stringe direttamente con la storia e con chi la storia l’agisce.
Il tempo così lungo (tante stagioni, tanti episodi per ciascuna) ci concede la calma per entrare nella narrazione rispettando il nostro personale ritmo. C’è chi lo farà tuffandosi di testa, chi con cauta gradualità, chi arriverà d’un fiato sino alla fine. C’è chi si ferma e riprende più avanti (proprio come si fa con certi libri); questo ci darà il modo per affezionarci a queste “persone”, tanto da renderle, in un certo senso, parte della nostra vera vita.

Buoni e cattivi

Conosceremo ogni debolezza, ogni crepa di ogni carattere, ci verranno svelati un poco alla volta pregi e difetti di ciascuno. Ci sembrerà di sapere tutto di quello o quell’altro; poi resteremo sorpresi in positivo o in negativo nello scoprire qualcosa che proprio non ci aspettavamo. Proprio come accade nella vita vera.
Gli individui non si conoscono mai del tutto, c’è sempre qualche segreto che ignoriamo. I feroci non sono solo figure negative; anche il più sgradevole dei personaggi tradirà una sfumatura di umanità, una ferita antica che l’ha reso quel che è. Lo disprezzavamo, eppure ci sorprenderemo a provare affetto e compassione anche per lui.
Allo stesso modo, la delusione nel comportamento di chi avevamo definito “un buono”, ci ferirà come una scudisciata.

Il punto di vista

In questo continuo rimettere in discussione principi morali che avremmo definito inattaccabili, ci ritroveremo imbrigliati alla storia con un doppio nodo. 1. parteggiamo, ci identifichiamo con l’eroe positivo; 2. siamo disposti a comprendere, persino a giustificare, i cattivi.
Ogni volta che assolviamo o condanniamo qualcosa o qualcuno, ricalibriamo la nostra personale scala di valori. Ribaltiamo la nostra percezione di buono e cattivo; in questo modo entriamo in contatto con noi stessi, con le nostre zone buie. Scendiamo a patti coi nostri fantasmi; diventiamo severi o permissivi in base a quanto forte è l’empatia che scatta nei confronti di un personaggio o di un altro. Una dinamica che, un po’ audacemente, potremmo dire per certi versi simile al trasfert che si crea in una buona psicoterapia.

Addict

Proprio come il lettore, l’addict da serie non vede l’ora di fermarsi in un angolo del sua casa; o in strada, in auto, su uno scoglio, dentro al letto, contro un muro. Lo fa di giorno o tanto meglio di notte quando tutto il resto tace, per continuare a “frequentare” ancora un po’ quelle persone; per restare ancora in quelle vicende, per riprendere il filo là dove s’era interrotto. Per illudersi – di nuovo – di sapere già tutto, e poi scoprire – da capo – che così non è.

La vita “vera”

L’azione del guardare una serie non esclude del tutto la vita “vera”.
Una puntata può essere sfiorata, sciupata, interrotta decine di volte. Si può abbandonare, sì può dimenticare tutto, sì può ripassare. Si può tornare indietro se un passaggio cruciale c’è sfuggito; così fa il lettore quando spasmodicamente si agita tra le pagine, per risistemare quel tassello che manca.
Ci si addormenta di notte con lo schermo sugli occhi, proprio come accade coi libri; perché la storia è più forte del sonno e per niente al mondo si sceglierà di tradire il racconto sul più bello. Accade solo se la stanchezza vince, ma non è colpa nostra.

Libri e Serie TV

Proprio come per il libri – parola comune che racchiude in sé universi infiniti di infinite storie – di serie ne esistono di qualsiasi tipo. Ne esistono d’amore, d’azione, storiche, di fantascienza o d’avventura, spietate, volgari, indigeste e anche semplici, buone, leggere. Spesso le categorie si contaminano una con altra; così che anche chi – per esempio – non tollera scene di violenza, si ritroverà a guardare una storia di evasione da un carcere di massima sicurezza. Accadrà perché là dentro, oltre ad armi da fuoco e botte nei denti, c’ha trovato intelligenza, delicatezza, ironia, introspezione. E così via.

Cadono quei paletti ai quali tante volte ci siamo aggrappati per proteggerci dal nuovo. Si naviga a vista in attesa della prossima onda buona. Il nostro interesse non cala mai perché gli sceneggiatori e gli autori sapienti sanno bene come tenere alta l’attenzione. Perché la sorpresa – ricorrente, ciclica – è lo scheletro della narrazione e non cede; è l’elemento che ci seduce, che tiene vivo il desiderio e ci tiene vigili e attaccati a qualcosa che ci piace, per sempre.

Buona continuazione.

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Pugliese. Quel che più ama: i figli, il blu mare, i colori primari e, a partire da quelli, tutti gli altri, la pagina scritta, la parola che cura, i bambini, danzare, e la sua Stromboli.

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