Il buio non fa paura

Sembra quasi di vederlo il passaggio del testimone, la staffetta che viene consegnata dal padre al figlio, nel libro Il buio non fa paura, NNE 2021, esordio letterario di Pier Lorenzo Pisano, regista e autore di teatro.

La scrittura prende a tratti il ritmo del flusso di coscienza: è il punto di vista di chi la storia non la vive in prima persona, ma la culla dentro di sé, anche senza saperlo.

Il buio non fa paura di Pier Lorenzo Pisano

Forse perché la vicenda raccontata è quella che ci riguarda tutti da sempre e per sempre: l’elaborazione della perdita, la separazione tra cielo e terra, tra i vivi e i morti.

È una storia che passa di generazione in generazione, in un piano sequenza che scambia posti e ruoli davanti ai vetri, nell’immobilità dell’attesa.

Qualche ora dopo, Giulio sta alla finestra sulla sedia di papà e guarda fuori: cosa vedevi tutto il giorno, papà? Il rettangolo, il panorama in scatola che conoscevi a memoria, la viuzza che sale accidentata verso il bosco e le file di siepi, contavi i nidi dei corvi e le foglie che cadevano.

Ha molto di cinematografico questa narrazione, che in breve racconta la scomparsa di una madre, l’inconsolabilità dei figli e di un padre, che di colpo perdono tempo, gesti e riti quotidiani.

Le domande che girano nella testa e nel cuore dei protagonisti sono impastate nel fluire che scorre e scorre, come il fiumiciattolo vicino a casa, a cui si legano i ricordi dell’età perduta.

Mamma ci lavava i panni, e d’estate a fare gavettoni e d’inverno a stare attenti che il ghiaccio si spacca, e tutti quei ricordi in quel piccolo filo d’acqua, che però continua a scorrere e porta via tutto.

È un libro che tiene insieme il dettaglio e l’irreparabile, le more colte dal cespuglio selvatico e la scomparsa per sempre nel bosco di notte: la madre che va e non torna.

Ma il buio non fa paura perché la notte è anche il luogo del sogno, il podio più alto della fantasia che ripara e trasforma,

Sarà il fratello di mezzo, Gabriele, a trovare la strada per uscire dal folto del bosco, che qui – come in ogni fiaba – è il luogo che si deve attraversare per smarrirsi e ritrovarsi, per crescere, soprattutto.

Una mano si muove verso il bambino, nel buio del bosco sembra che stia per schiacciarlo, si intuisce un movimento brusco, che fa paura, ma quando gli tocca la pelle sembra liscia, come quella di una donna.

E allora quello che ai bambini spaventa, qui diventa il tempo della riparazione, in cui viene restituito ciò che è stato tolto:

Non sa nemmeno lui perché, ma non vede l’ora, tutti i giorni, che torni la notte.

Le parole curano in questa storia, arrivano a forma di “palloncino” per far rimbalzare su e giù il bambino di nuovo felice, nonostante il lutto.

Perché forse, il segreto di ogni racconto, è proprio questo: mantenere il filo, anche quando il filo scompare in un altrove che non possiamo più raggiungere.

C’è la fantasia a far da ponte, tra noi e loro, fuori e dentro il bosco.

E poi ci sono i momenti condivisi, che diventano altari su cui celebrare la religione di tutti gli affetti: il faggio, ad esempio, ha un ruolo così importante in questa vicenda, perché sui suoi rami prima, sotto la sua ombra, dopo, sono trascorsi i giorni spensierati di chi rideva e amava.

C’è la morte, qui, che è l’evento accidentale più terribile della vita.

E poi c’è la guerra, che arma la mano dell’uomo e produce una morte intenzionale che è non-vita, negazione, notte senza sogni.

Allora glielo chiedono, ma che sono tornati i tedeschi? E quello per un attimo mette un sorriso, no no, meglio il mostro che i tedeschi.

La vita, in ogni sua forma, soprattutto.

Anche in quella di un mostro, che mostro non è.

Perché il buio (e i mostri) in questa favola nera non fanno paura.

Il libro, disponibile al prestito in Biblioteca, fa parte della cinquina finalista del premio letterario Leggo Quindi Sono, che vede protagonisti oltre 500 studenti delle scuole di Capitanata.

L’autore sarà presente in Biblioteca, mercoledì 6 aprile 2022, alle ore 18.00, per un incontro pubblico.

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Viaggiatrice di poltrona con i libri, in camper senza. Perdo sempre gli occhiali, raramente la pazienza.

2 Commenti

  1. Annalisa Molfetta
    30 Marzo 2022

    Sono d’accordo, il bosco è in questo romanzo, come nelle favole, il luogo in cui ci si perde per ritrovarsi.

    Rispondi
    1. Mara Mundi
      3 Maggio 2022

      Grazie, Annalisa.
      Sempre bello confrontarsi con te, proprio come facciamo al gruppo di lettura della “Biblioteca”, insieme agli altri lettori.

      Rispondi

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